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Cervicobrachialgia

La cervicobrachialgia è l’ infiammazione della regione cervicale con irradiazione lungo l’ arto superiore; il dolore ha origine dal collo e si propaga attraverso i nervi del plesso brachiale che collegano il midollo spinale al braccio, fino ad arrivare alle dita delle mani.
La malattia può essere congenita o acquisita, può interessare tutte le fasce d’età, ed solitamente è accompagnata da disagi a livello psichico e sociale.
Può essere causata da:
– malformazioni genetiche della colonna vertebrale;
– malattie reumatiche;
– ernie del disco;
– compressione di un nervo causata da un muscolo ispessito e contratto;
– traumi di vario genere;
– aderenze che intrappolano le terminazioni nervose e provocano un dolore irradiato;
– disturbi cardio-circolatori.
Tende a manifestarsi su un solo lato del corpo anche se i pazienti colpiti dalla patologia, in molti casi avvertono pesantezza in tutti gli arti. I sintomi più comuni sono dolore localizzato, molto intenso e spesso insopportabile,- formicolii, rigidità muscolare.

Sindrome del tunnel Carpale

La sindrome è dovuta più frequentemente all’infiammazione cronica della borsa tendinea dei flessori (tenosinovite), che comprime il nervo mediano. Può manifestarsi in corso di gravidanza, nei soggetti affetti da ipotiroidismo e nei soggetti affetti da artrite reumatoide. Sono più frequenti nei soggetti che utilizzano le mani per lavori di precisione e tipicamente ripetitivi.
La sindrome si manifesta più spesso nei soggetti femminili ultraquarantenni, con disturbi della sensibilità che colpiscono le prime 3 dita (pollice, indice, medio) e metà del quarto dito della mano. Tali disturbi, che si presentano prevalentemente durante la notte, possono evolvere nei casi più gravi in una progressiva ed irreversibile perdita della sensibilità alle prime 3 dita ed alla mano dal lato volare seguita da ipo-atrofia dei muscoli della mano (muscoli tenari): ma anche agli uomini trentenni che fanno sforzi come giocare a bowling, muovere ripetutamente il mouse, usare il martello pneumatico. Il paziente avrà difficoltà ad eseguire lavori con le dita come stappare una bottiglia o lavorare a maglia.
Nelle fasi iniziali il paziente lamenta parestesie a scossa. Clinicamente il dolore e le parestesie possono essere evocati attraverso la percussione fasica a livello del tunnel carpale (segno di Tinel). Se il paziente lamenta la comparsa di scosse il segno è da considerarsi positivo.
La valutazione clinica della sindrome avviene attraverso la raccolta dei sintomi lamentati dal paziente e attraverso le manovre ortopediche sopracitate. La diagnostica consente di porre diagnosi di malattia con certezza utilizzando l’ENG (elettroneurografia) metodica che consiste nello stimolare elettricamente il nervo e registrare con appositi elettrodi la corrispondente contrazione dei muscoli innervati dallo stesso.
Il trattamento è medico attraverso una oculata infiltrazione di cortisone nelle fasi iniziali. Quando la sindrome è cronica è preferibile il trattamento chirurgico in anestesia locale che consiste in un release del nervo al carpo (sindesmotomia del legamento trasverso del carpo) attraverso una piccola incisione (1-2 cm) in sede carpale, volarmente.
Ad intervento eseguito il dolore si risolve velocemente, mentre le parestesie possono perdurare anche per alcune settimane in quanto il nervo, quando molto compresso, recupera molto lentamente. Se la compressione è durata troppo a lungo con una atrofia degli assoni il nervo non recupera più nonostante l’intervento.

Lombalgia e lombosciatalgia

La lombalgia è il comunemente detto “mal di schiena” che interessa la regione lombare; può essere mediana, cioè lungo la colonna vertebrale, paramediana o laterale, da uno od entrambe i lati, quando è percepita lateralmente alla colonna vertebrale.
La sciatalgia è invece un dolore che si irradia lungo uno od entrambi gli arti inferiori e che può essere associato a lombalgia ; in tal caso si parla di lombo-sciatalgia.
Il disco intervertebrale è quel cuscinetto interposto fra due vertebre, che funge da legante e da ammortizzatore fra queste, ed è formato da un involucro esterno molto resistente, fibroso, chiamato anulus, ed un contenuto interno più molle ed elastico, chiamato nucleo polposo.
Quando un disco intervertebrale viene sottoposto a traumi intensi o ripetuti, può andare incontro ad un’usura precoce; ciò può determinarne la deformazione o la rottura, parziale o a tutto spessore.

In relazione quindi alla gravità della lesione discale si parla di:

  • Bulging: lieve deformazione del disco, senza rotture
  • Protrusione: deformazione del disco con variabile debordanza e parziale rottura delle fibre interne dell’anulus
  • Ernia discale : rottura a tutto spessore dell’anulus con fuoriuscita di parte del nucleo polposo

I termini vengono fra loro spesso confusi od usati, anche nelle refertazioni radiologiche, in modo improprio.

Può esserci una predisposizione congenita (spesso fra familiari possono essere presenti disturbi analoghi), vi è  maggior incidenza nei fumatori, nei soggetti sovrappeso ed in chi fa molto uso di mezzi motorizzati (camionisti, rappresentanti ecc.); vi è correlazione con il lavoro svolto (molto gravoso o troppo sedentario) o con storie di microtraumi ricorrenti (sport, lavoro) o traumi rilevanti; sono comuni nei soggetti con altre malattie degenerative della colonna (scoliosi, artrosi, spondilolisi-spondilolistesi, anchilosi)
La lombalgia può insorgere acutamente od in modo progressivo, sia spontaneamente che in seguito a sforzi improvvisi od intensi o prolungati, oppure dopo aver mantenuto una posizione scorretta per lungo tempo. E’ caratterizzata da dolore che si accentua in posizione eretta o seduta o sotto sforzo; Altre volte si accentua in posizione seduta od eretta e si attenua camminando o cambiando spesso postura.
Il dolore è percepito come bruciore (urente) o morsicatura (gravativo-trafittivo) e si può associare ad alterazioni della sensibilità, percepite come “sensazione di corrente elettrica”, formicolii, riduzione o scomparsa della percezione del tatto o della differenza caldo-freddo, a riduzioni della forza o del movimento di uno o più distretti di uno od entrambe gli arti inferiori, come cedimenti improvvisi del ginocchio o della caviglia, difficoltà nel sostenersi sulla punta di un piede o sul tallone, difficoltà nel piegare od estendere le dita del piede o la caviglia. Nei casi più gravi può associarsi a vescica neurologica (ritenzione d’urina), paralisi di uno o più nervi periferici (impossibilità ad effettuare i movimenti di flessione od estensione delle dita del piede, della caviglia, del ginocchio).


Per almeno 7-10 gg., o comunque fino a scomparsa delle algie intense la cura e rappresentata da:

  • -Riposo:astensione assoluta da sforzi fisici anche lievi, tipo sollevare pesi superiori ai 3-4-Kg od effettuare movimenti forzati del tronco in rotazione, evitare di assumere posizioni scorrette o restare fermi nella stessa posizione per lunghi periodi, evitare flessioni del tronco.
  • -Terapia farmacologica con cortisonico (tipo Betametasone o Metilprednisolone), fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) , antidolorifico (tipo tramadolo, paracetamolo, paracetamolo +codeina, fino al morfinico), miorilassante, terapia infiltrativa periradicolare.

Dopo la fase iperacuta valutazione Fisiatrica per ginnastica specifica, manipolazioni, TENS (neurostimolazioni elettriche). I metodi sono numerosi, ma ugualmente efficaci se correttamente eseguiti. L’importante è essere molto regolari e costanti nel praticare gli esercizi consigliati, svolgendoli anche a casa con regolarità.

Per tutte le altre tipologie di terapie fisiche non vi è in letteratura evidenza scientifica di efficacia e ciò vale anche per l’ozonoterapia o l’agopuntura, delle quali tanto si sente parlare e che spesso vengono inadeguatamente suggerite.

Soprattutto nelle sintomatologie a prevalente componente algica lombare si sono dimostrati efficaci gli esercizi in trazione della colonna vertebrale;

Indicazioni all’intervento chirurgico

La chirurgia del rachide non è esente da complicanze intra e postoperatorie temibili, quali la discite, il danno alle radici nervose, le complicanze vascolari immediate o tardive e l’instabilità vertebrale. Complessivamente l’incidenza delle complicanze operatorie è pari al 3-6%, il rischio di reintervento al 3-15%, mentre il rischio di mortalità per embolia polmonare da trombosi venosa profonda a 30 giorni dall’intervento varia tra 0,5 e 1,5 per 1.000 pazienti operati.

Per arrivare a considerare l’intervento chirurgico quale possibile cura,  deve esservi sempre congruità tra:
-la sintomatologia riferita dal paziente (aree di irradiazione del dolore e delle parestesie, limitazione funzionale)
-il quadro clinico obiettivo (test clinici e riflessi)
-la diagnosi strumentale per immagini (TAC, RMN) che confermino il livello di interessamento discale.

Se questa congruità è soddisfatta, l’intervento chirurgico può essere giustificato se si è in presenza dei seguenti criteri:
-durata dei sintomi superiore a sei settimane
-dolore persistente non rispondente al trattamento analgesico prolungato
-fallimento delle terapie,  a giudizio congiunto di chirurgo e paziente, se adeguatamente condotte

Se si tiene presente che anormalità strutturali asintomatiche del disco intervertebrale o delle strutture articolari vertebrali sono presenti tra il 30% ed il 40% della popolazione nella quarta decade di vita per raggiungere il 100% verso i 60 anni, si capisce come il concetto di malattia sia difficilmente definibile se non addirittura opinabile.
Esistono cambiamenti strutturali della qualità dell’osso, del disco e delle articolazioni vertebrali che fanno parte del fisiologico invecchiamento del corpo umano e che entro certi limiti possono “fisiologicamente” condizionare la nostra vita quotidiana senza obbligatoriamente considerarci ammalati.

TECNICHE CHIRURGICHE

Percutanee

Sono tecniche praticabili in day surgery, come la Coblazione, la Nucleoaspirazione ed il Laser.
Non richiedono anestesia generale ed hanno principalmente lo scopo di ridurre la compressione sulla radice nervosa riducendo in qualche modo il volume dell’ernia mediante mezzi fisici o chimici. Trovano indicazioni in pazienti giovani con protrusioni discali, ove la degenerazione discale rappresenta l’unica fonte del dolore e quindi sono assenti tutti i fenomeni degenerativi tipici dell’età più avanzata.
Il risultato positivo generalmente è abbastanza limitato nel tempo e condizionato dalla progressione della degenerazione discale.
La reale efficacia è molto discutibile e non sembra superiore ad un buon trattamento fisiatrico.

Open

La chirurgia tradizionale consiste nel raggiungere la radice nervosa irritata dall’ernia e liberarla dalla compressione. Tale indicazione, a nostro avviso, va riservata solamente ai casi ove si siano rivelate inefficaci tutte le atre metodiche conservative in un appropriato arco di tempo.